Discriminati nella pandemia?
Forlì 30 dicembre 2020 – Le risorse sanitarie e di conseguenza economiche, non essendo infinite, hanno indotto al culmine della pandemia anche a scelte crudeli.
Ci si interroga su come utilizzare le risorse – in quanto non sufficienti per soccorrere tutti i pazienti – e su quali criteri basare la scelta.
Sono fioriti al proposito dibattiti, studi e articoli un po’ in tutte le parti del mondo. In primis negli Stati Uniti e in Canada, a seguire in Europa e in Italia. In ambiti accademici, medici e politici, con approcci ora “utilitaristici” – che si prefiggono di ricavare il più possibile da una risorsa – o con approcci “consequenziali” – che si prefiggono di raggiungere il risultato migliore –. Naturalmente confrontandosi sul valore di una vita.
Sono scaturite direttive diverse: prendere in esame l’età o lo stato generale del singolo, l’utilità sociale dell’individuo, la probabilità di guarire del paziente.
In Canada si è pensato di escludere dal trattamento persone affette da malattie degenerative come la Sla, il Parkinson o con deficit mentale, ma anche persone semplicemente non autonome come i Down o gli autistici.
In alcuni altri Stati si è pensato persino che, in caso di scarsità di risorse, si potrebbero escludere i “peccatori” quali i fumatori, i bevitori o con abitudini di vita non consone alla cosiddetta “normalità”.
Quello a mio avviso veramente incomprensibile è come l’opinione di molte persone non trovi scandaloso il solo pensare di creare una gerarchia (con un punteggio attribuito al momento dell’arrivo al Pronto Soccorso) fra le vite umane. E come in molti casi si lascino le sole associazioni delle varie disabilità e la Chiesa a combattere tali deprecabili decisioni.

E l’anziano da chi viene difeso?
Si sappia che persino un docente di etica della medicina del Weil Cornell Medical College degli Stati Uniti, Franklin Miller, si è pronunciato per il principio per cui i soggetti con più di 80 anni non dovrebbero essere aiutati con un respiratore in caso di eccesso di richiesta e nel caso di carenza grave. La soglia di età dovrebbe abbassarsi a 70 anni in quanto che gli anziani già “hanno avuto l’opportunità di vivere una vita completa”.
Si potrebbe quindi decidere per una scelta computerizzata, o con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, e non secondo l’etica che, invece, ha proprio lo scopo di utilizzare elementi non calcolabili, come il proteggere i più deboli e impedire o ridurre gli abusi.
D’altra parte, coloro che sostengono questa “sanità selettiva” affermano che già così viene deciso chi scegliere, ad esempio per il trapianto di rene in considerazione della scarsità di organi rispetto al numero di pazienti in lista d’attesa, ma ci si dimentica che in questo caso non si prende una decisione di vita o di morte dell’individuo, anche se si decide che il paziente non usufruirà di quella opportunità del trapianto ma continuerà a vivere con la dialisi, rimanendo in lista d’attesa.
Al contrario, ritengo che la persona anziana – proprio perché “anziana” – e perché spesso è affetta da morbilità plurime presenta una fragilità nei confronti dell’infezione e della malattia in genere, che necessiterebbe dell’intervento sanitario immediato e deciso. In quanto meno reattivo, sia nel confronto della malattia per una sua carenza di difesa, sia nella risposta alla terapia rispetto al giovane. Nell’anziano lo “stiamo a vedere” non paga, perché l’attendismo può peggiorare velocemente le condizioni generali e d’organo a livelli di non più responsività.
Ma poi le risorse sono davvero insufficienti per tentare di salvare tutti?
Il tentativo a mio avviso va sempre fatto.
O non sarebbero più insufficienti, ad esempio, con diversi stili di vita. Un’efficace lotta all’evasione fiscale, una riforma fiscale più equa, una riduzione dei paletti burocratici con la digitalizzazione in rete su tutto il territorio e una legislazione più snella. Una politica seria per il lavoro. Un maggior rispetto per l’ambiente, per ridurre i disastri che portano ad enormi perdite di risorse umane ed economiche. Un’utilizzazione più efficace del volontariato con un coinvolgimento maggiore proprio degli anziani, che in tal caso ne deriverebbero vantaggi sia in termini di salute fisica e psichica. Un corretto coordinamento e dimensionamento della sanità territoriale e ospedaliera, eccetera?
Dott. Sauro Urbini*
*Presidente ASP del Forlivese. Specializzato in Urologia e Nefrologia è stato Direttore di struttura complessa in Nefrologia e Dialisi preso l’ospedale pubblico di Forlì