Introduzione di Luca Pellegri

Ricordo molto bene quando, a metà degli anni ’80, il Compagno Stefano Servadei denunciava, dai banchi del Consiglio Regionale dell’ Emilia-Romagna, le infiltrazioni mafiose sulla riviera romagnola. Parlava di quel che era visibile – traffico di stupefacenti ed estorsioni- e di quel che era invisibile – riciclaggio di denaro sporco investito nel turismo e nell’edilizia-.

Ricordo le reazioni più incredule che preoccupate, più stupite che allarmate.

Oggi dopo trent’anni e decine di processi, il fenomeno di infiltrazione delle grandi organizzazioni criminali appare ben strutturato ed ancora più invasivo. Se da una parte dobbiamo ringraziare l’intelligenza investigativa di magistrati e forze dell’ordine, dall’altra dobbiamo rilevare che quando la forza repressiva dello Stato arriva, per forza di cose il danno è già stato compiuto.

Il Compagno Francesco Brancaccio, Segretario della Federazione di Caserta (in prima linea, si potrebbe dire), ci informa con la competenza e la serietà che gli è propria, dello stato dell’arte attuale descrivendo uno scenario da brividi. Mentre l’opinione pubblica è distratta da 43 poveri cristi abbandonati in mezzo al Mediterraneo, non si ha un’acuta percezione delle vere emergenze del nostro Paese, tra le quali, non secondaria, è l’infezione della criminalità organizzata nei nostri territori. Dobbiamo costruire una cultura antimafia, riconoscere segni e sintomi, vaccinarci per così dire. Con la attiva collaborazione di Francesco, i Socialisti Emiliano-Romagnoli, metteranno nel loro programma la lotta alle mafie come priorità.

Ecco il suo articolo per l’Avanti!

Emilia Romagna la patria della holding definita ‘ndracamostra

Ottanta clan. Venti miliardi di euro come fatturato. E un patto tra ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra per spartirsi gli affari.  E’ questa la fotografia criminale dell’Emilia Romagna e delle organizzazioni mafiose che hanno scelto la regione come terra di conquista. Trentasei sono le ‘ndrine calabresi, 21 i clan legati alla Camorra, 17 quelli di Cosa nostra e 4 della Sacra corona unita pugliese.

Un’infiltrazione criminale del territorio che fa dell’Emilia Romagna una delle dieci regioni italiane con il maggio numero di beni confiscati alle mafie, con Bologna in testa con 40 confische. Mentre la provincia di Reggio Emilia rimane ancora una zona appetibile, dove operano già 17 ‘ndrine, 4 clan legati alla mafia siciliana, 3 alla camorra, con l’aggiunta della criminalità organizzata proveniente da altri Paesi tra cui spicca la mafia russa Romagnola.

Era il 2010 quando la Dda di Bologna arresta venti persone nel modenese fra le quali c’è il boss casalese Pasquale Zagaria e altri imprenditori edili in provincia di Reggio Emilia riconducibili agli Schiavone : si trattò dell’operazione “Pressing”.

Con questa operazione la regione dell’Emilia Romagna scopre per la prima volta di essere sotto scacco della malavita organizzata. In realtà le mafia e la camorra avevano iniziato prima del 2010 la loro invasione silenziosa e davastante come un cancro. Diciotto anni fa.

L’Emilia Romagna «è divenuta nodo di scambio di traffici illeciti di rifiuti, cui ricorrono sia società e soggetti che svolgono attività d’intermediazione, sia organizzazioni criminali operanti soprattutto in Campania e Puglia», scriveva la “Commissione parlamentare sulle ecomafie” nella sua relazione sulla Regione, datata 15 luglio 1999.

E scriveva anche altro.

Come «una diffusa illiceità nel ciclo dei rifiuti», come i «ventimila litri di liquidi riversati nel fiume Mesola, presso Cesena, con gravi ripercussioni sulle stesse falde idriche», come «il ritrovamento di ottantotto fusti metallici contenenti reflui industriali esausti, abbandonati in un terreno del comune di Montale, nel piacentino» o il ritrovamento «di un contenitore per rifiuti radioattivi addirittura nell’oasi naturalistica di Punte Alberete, nei pressi di Ravenna».

Raccontava, la Commissione, una situazione già pesante.

«Un settore che in Emilia Romagna appare particolarmente esposto al rischio di comportamenti illeciti è quello relativo all’attività svolta dai numerosi centri di stoccaggio nella Regione – si legge -. I quali offrono facilmente il fianco ad attività di miscelazione tout court e modifica, mediante alterazioni e falsificazioni dei documenti di accompagnamento della tipologia dei rifiuti tossico-nocivi, con grave danno per l’ambiente e la salute dei cittadini». E i dati «evidenziano il ricorso a tale pratica illegale presso centri di stoccaggio di diversi comuni», suscitando «particolare allarme per la natura e diffusione del fenomeno».

Al punto che «la Commissione – conclude la relazione – ritiene doveroso reiterare l’invito a una sempre più puntuale azione di controllo sui centri di stoccaggio». Tanto più che l’Emilia Romagna «è sito di produzione di importanti quantità di rifiuti pericolosi, ma con possibilità di smaltimento molto inferiore alla necessità». Sappiamo da un pezzo che negli ultimi decenni sono stati sversati rifiuti pericolosi anche in Emilia Romagna.

Nunzio Perrella, pentito di camorra che fu tra i gran ciambellani del traffico illecito di rifiuti, ha raccontato come la sua società partecipasse «alle gare per l’appalto dello smaltimento dei rifiuti in Emilia, in Toscana, dovunque fossero». Qualche dettaglio? «Ho scaricato nel settentrione rifiuti di ogni genere, anche quelli nocivi. Una volta riempite le discariche del Nord, abbiamo cominciato a scaricare al Sud ». Al Nord dove? «Ho gestito io gli smaltimenti di rifiuti di ogni tipo nelle discariche in Emilia-Romagna, in Liguria, in Piemonte». Esempi? «Ferrara è stata riempita fino all’osso».

Ma le mafie fanno diversi banchetti da queste parti, non solo quello dei rifiuti.

Alfonso Perrone, “’o Pazzo”, ha molto raccontato alle Dda di Bologna e di Napoli sui Casalesi e le loro attività a Modena.

Nel 2012 l’allora Procuratore antimafia di Firenze, Pietro Suchan, rinvia a giudizio Giovanni Gugliotta, autotrasportatore modenese (insieme a un altro autotrasportatore del Mugello), per un giro di false fatturazioni fra il 2004 e il 2005 che servivano a ripulire soldi di clan a Casal di Principe e Nola.

Il sistema è rodato: i soldi delle fatture fittizie venivano restituiti “puliti” in appalti, neanche questi mai realizzati, ad altre imprese. E Gugliotta era già stato arrestato nel dicembre 2006 in un’inchiesta per droga coordinata dalla Dna.

Insomma nel 2010 con i maxi arresti e sequestri dell’operazione “Pressing” tutto sembrava finito ed invece nel silenzio e con la calma la mafia, la camorra casalese e la n’dragheta chiusero un nuovo patto ed iniziarono una collaborazione come una holding definita ‘ndracamostra.

Il processo Aemilia ne è la testimonianza di questo accordo, cinquantotto condanne tra funzionari dirigenti ed imprenditori. La più alta, quindici anni, l’ha presa Nicolino Sarcone, considerato uno dei capi della cosca che secondo i pm ha come punto di riferimento la ‘ndrina Grande Aracri di Cutro, in Calabria. In questo processo si scopre una nuovo modus operandi della camorra e della n’dragheta finanziare politici e corruzione dei dirigenti che potevano essere utili al “sistema” insomma non più una malavita dal grilletto facile ma un organizzazione di colletti bianchi che punta ai grandi appalti e penetrando nella società che conta, teoria dimostrata dall’operazione Grimilde di due giorni fa. 

Francesco Brancaccio, Direzione Nazionale del PSI

Credits diagramma: Immagine del sito Processo Aemilia IL PIÙ GRANDE PROCESSO CONTRO LA MAFIA CELEBRATO NEL NORD ITALIA

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